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Generali, i nuovi vertici e la sfida dei target

NewSintesi e Rassegna Stampa | 13 Marzo 2016 | 0

Ai due nuovi manager, il futuro ceo Philippe Donnet, e il prossimo direttore generale, Alberto Minali, tocca un compito di certo non facile: rispettare gli ambiziosi obiettivi scritti nel piano firmato e voluto dall’ex amministratore delegato, Mario Greco.

Quel progetto, già riconosciuto come particolarmente sfidante quando venne presentato la scorsa primavera perché fondato su una complessa trasformazione della compagnia di Trieste appare oggi, complice un contesto dei mercati indubbiamente mutato, quasi mirabolante. Certo Greco, nella sua ultima conference call, quella immediatamente successiva all’addio, aveva chiarito che quel business plan non sarebbe mai stato messo in discussione.

«I risultati finanziari a fine 2015 saranno buoni e in linea con i target al 2018 che prevedono dividendi totali superiori ai 5 miliardi di euro, un flusso di cassa netto cumulativo di oltre 7 miliardi e ulteriori risparmi di costo cumulativi per 500 milioni», dichiarò. Lo fece, però, dopo aver imboccato l’autostrada per Zurigo. L’esito è che toccherà ad altri trasformare le Generali nella più rilevante retail company d’Europa, nella Amazon del settore assicurativo. E lo dovranno fare con i tassi di interesse che sono a zero e i titoli di Stato che rischiano di diventare una zavorra, proprio mentre il portafoglio delle assicurazioni vita della compagnia si trova a dover fare i conti con un altro dilemma: l’ascesa delle polizze unit linked, vera manna nei momenti di balzo dei mercati ma un potenziale problema da gestire al meglio per i clienti con le Borse turbolente.

E questo non è secondario perché, come raccontava Minali stesso alla presentazione del piano, un punto di retention vale 20 milioni di risultato operativo. Ossia più fidelizzi il cliente, più utili produci e più cassa immagazzini per staccare la cedola. L’equazione, di per sé facile da descrivere, in realtà è il risultato di un’alchimia che deve avere ingredienti perfettamente dosati. Ma riuscire, in questa particolare fase, a dosare al meglio il mix è un compito assai complesso. Non foss’altro perché la cassa che si vuole generare dovrà in parte maturare anche grazie alla ristrutturazione del portafoglio prodotti.

Ristrutturazione che in Italia è stata compiuta proprio sotto la guida di Donnet. Nel 2014 la profittabilità del settore vita è passata da 336 milioni a 641 milioni grazie ad alcuni interventi come il lancio di prodotti ibridi, la riduzione di quelli a capitale garantito e l’ottimizzazione delle commissioni. Tutte manovre che hanno permesso di incrementare sensibilmente i denari generati. Tuttavia, il 2014 ha beneficiato della forte crescita dei mercati, così come il 2015. Questo primo scorcio del 2016, invece, si è mosso in ben altra direzione. E, come spiegava Greco la scorsa primavera, la soddisfazione del cliente è l’anima per dare soddisfazione anche all’azionista. Un mantra che Donnet e Minali hanno ben presente. Ecco perché la soluzione interna, in questo momento, è apparsa agli osservatori come la miglior opzione possibile. Ferma restando la difficoltà di centrare target davvero ambiziosi.

FONTE IL SOLE 24 ORE

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