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«Generali verso la public company Trasparenza sulla passata gestione»

27 Aprile 2014

«Resa dei conti con il precedente vertice operativo e divisioni fra gli azionisti? No, niente di tutto questo. È logico che quando cambia il management si faccia una rivisitazione patrimoniale ed economica in un’ottica di chiarezza e trasparenza.

 

«Resa dei conti con il precedente vertice operativo e divisioni fra gli azionisti? No, niente di tutto questo. È logico che quando cambia il management si faccia una rivisitazione patrimoniale ed economica in un’ottica di chiarezza e trasparenza. Ed è sano ci siano confronti e discussioni in consiglio e fra gli azionisti. Fondamentale è la convergenza sulle scelte strategiche e il board è stabile supporter delle decisioni del management». Il presidente delle Generali Gabriele Galateri parla a pochi giorni dall’assemblea del Leone che si svolgerà a Trieste mercoledì 30 aprile. Appuntamento atteso soprattutto perché il 2013 è stato un anno «fondamentale» per il gruppo, che si presenta profondamente cambiato. E perché le iniziative nei confronti degli ex vertici hanno avuto grande eco sulle cronache finanziarie.
Perché definisce il 2013 fondamentale?
«Per almeno quattro ragioni: gli importanti cambiamenti nel governo societario, con il board portato a 11 componenti, 4 dei quali donne, senza comitato esecutivo e con personalità di prestigio e rilievo internazionale; sotto la guida del group ceo Mario Greco è stata completata la squadra di vertice manageriale, anche qui con innesti soprattutto internazionali nel consolidato e coeso team dirigenziale del gruppo; sono state realizzate dismissioni per un valore che ha già superato la metà del target di piano; è stata avviata la riorganizzazione in Italia. La strategia definita da Greco è cartesiana, si capisce da lontano: il gruppo si concentra solo nel business assicurativo con un’apertura geografica importante. E i risultati, con quasi 2 miliardi di utile e oltre 4 di reddito operativo, si vedono».
Ci sono state però anche le azioni verso l’ex amministratore delegato Giovanni Perissinotto e l’ex direttore generale Raffaele Agrusti. In particolare due azionisti, di cui uno in consiglio, si sono espressi in modo contrario.
«Dalla rivisitazione sono emerse attività che in passato non avevano elementi di chiarezza e conoscenza, poiché il consiglio non era stato informato, che hanno reso necessari approfondimenti, anche con l’ausilio di consulenti esterni. Alla fine gli amministratori hanno dato mandato al group ceo di intraprendere azioni legali per chiarire i fatti e ristorare danni che il gruppo ha subìto. È giusto che nei consigli ci sia la massima trasparenza. Quindi, in un board capace di affrontare in modo trasparente e oggettivo qualunque tematica, chiunque abbia fatto valutazioni differenti le esprime in una dialettica aperta e costruttiva. L’atteggiamento generale è una visione serena e pacata: si tratta di chiudere un passato in modo giusto ribadendo i concetti di trasparenza e tracciabilità delle decisioni, considerata l’assenza di informazioni al board».
Le Generali hanno un azionariato in movimento, Fsi deve cedere la quota ex Bankitalia, Mediobanca vuole scendere di tre punti, altri soci probabilmente cambieranno le proprie posizioni. Tutto ciò dal suo punto di vista cosa comporterà negli assetti del gruppo?
«Sono presidente del Comitato per la corporate governance delle società quotate e conosco bene la realtà dei board: non ritengo ci siano assetti di azionariato migliori di altri, bisogna sempre contestualizzare le situazioni. Un board come il nostro è in grado di dialogare con tutte le componenti del mercato: investitori strategici, istituzionali, retail e “attivisti-speculativi”. Fra i nostri soci maggiori non c’è alcun patto e contiamo su 250 mila azionisti. Dal punto di vista della governance rispondiamo al mercato e dal mercato siamo giudicati:è una situazione che potremmo indicare vicina a quella di una public company».
L’Antitrust non sarebbe d’accordo. Lei comunque pensa che i movimenti azionari si tradurranno per voi in più mercato?
«Non so cosa faranno Fsi o Mediobanca. Ma ritengo sia probabile si vada in quella direzione. È in evidente crescita la presenza di investitori istituzionali, soprattutto internazionali, come si vedrà appunto in assemblea».
Anche perché ci sono più fiducia nel Paese e aspettative di riforma.
«Dal punto di vista del governo, è in atto un cambio di rotta molto importante che convince gli interlocutori internazionali. In particolare sono giudicati positivamente gli orientamenti di riduzione della spesa pubblica, alleggerimento fiscale per lavoro e impresa, riforma della legge elettorale. Occorre però si risponda anche in modo positivo a questa domanda: dove vanno indirizzate le risorse?»
Lei cosa dice?
«Presiedo l’Istituto italiano di tecnologia e ritengo fondamentale siano dirette all’innovazione, che è il motore della crescita: con la crescita si riduce l’impatto del debito pubblico».
Sulla crescita il dibattito è aperto, anche in sede europea.
«Non vedo motivo per cui l’Europa non debba credere di poter partecipare alla ripresa senza subire il peso psicologico dell’invecchiamento del continente: bisogna avere il coraggio di pensare di non essere al traino di Usa o Paesi asiatici. E puntare in modo deciso su innovazione e sviluppo».
Il governo ha aumentato la fiscalità sul risparmio, che ha colpito anche le assicurazioni. E in particolare sulle Generali peserà il provvedimento di prelievo sulle plusvalenze Bankitalia.
«La pressione fiscale sulle assicurazioni è alta. E inoltre il settore aspetta da tempo provvedimenti legislativi sul tema delle frodi e sulle macro lesioni. Porterebbero fra l’altro a una riduzione del costo della Rc auto. Spesso i governi non sembrano preoccuparsi della competitività delle nostre compagnie, che pure sono fondamentali per la stabilità del sistema visto che sono i più grandi sottoscrittori di debito pubblico».

FONTE CORRIERE ECONOMIA